Nascita del Sistema Educativo PSI.CO.M.
Per molto tempo la didattica del movimento è stata rappresentata e talvolta, purtroppo, anche concepita, come insieme di istruzioni algoritmicamente organizzate per raggiungere diversi scopi motorii.
I tangibili effetti sull’apparato locomotore di una pratica motoria stricto sensu hanno poi consolidato quella concezione riduzionista anche fra molti addetti ai lavori. Ciò oltre a deprivare la didattica delle attività motorie del suo considerevole potenziale formativo, ha fatto si che in seno alle istituzioni scolastiche essa sia stata non di rado vista come strumento educativo complementare, quando non addirittura accessorio; e il connotato di “praticità” ha a lungo prevalso nel definirne l’essenza, privando generazioni di bambini di quel valore formativo aggiunto che qui proponiamo di recuperare.
Va segnalato che negli ultimi 30 anni (in particolar modo dall’inizio del terzo millennio) ad aggravare la suddetta concezione riduzionista ha concorso l’avvento di tecnologie sempre più evolute e la loro applicazione al mondo dell’intrattenimento; ciò ha determinato la comparsa sul mercato, di giochi “intelligenti” la cui rapida ed estesa diffusione ha prodotto una serie di effetti collaterali sugli utilizzatori, primo fra tutti, la sedentarietà. Se da una parte detti giochi stimolano notevolmente le funzioni frontali, dall’altra le conseguenze di questa iperstimolazione sul funzionamento del Sistema Nervoso Centrale e sulla quotidianità dell’individuo possono essere anche molto negative.
In questa sede ci preme porre l’accento sul fatto che questo cambiamento radicale del modo di intrattenersi e di giocare delle nuove generazioni ha finito per diffondere modelli educativi che promuovono la concezione di uno sviluppo della mente con un impegno del corpo assai limitato; è come se il progresso avesse paradossalmente prodotto un salto indietro di trecentocinquantanni con ritorno alla concezione cartesiana del rapporto mente-corpo. Inoltre diversi studi hanno già messo in evidenza che i nativi digitali tendono ad avere una motricità generale assai più ridotta e meno competente di quella dei loro coetanei di soli 20 anni fa, con l’eccezione (a nostro giudizio, assai poco consolante) della motricità e della sensibilità tattile-pressoria delle dita (per lo più dei pollici, soprattutto di quello dominante) spiegabili col frequente esercizio compiuto per interfacciarsi coi device digitali.
Crediamo che occorra ricercare un equilibrio tra l’impiego delle tecnologie e la naturale attitudine dell’uomo ad esprimersi attraverso il corpo nella sua interezza e il suo potenziale motorio. Il presente lavoro si pone come testimonianza di una nostra convinzione profondamente radicata, cioè che nel corso dell’età evolutiva l’attività ludico-psico-cognitivo-motoria dovrebbe essere sempre concepita come strumento complesso per il pieno sviluppo cognitivo del bambino.
A nostro parere, il connotato di pluridisciplinarietà implicito nell’epistemologia del sistema PSI.CO.M., tende a favorire il superamento della contrapposizione manichea tra conoscenza ed esperienza, tra sapere e saper fare, amalgamando i domini dell’apprendimento.
La posizione ormai ampiamente condivisa dalle neuroscienze, secondo la quale l’”esperire” e lo “spiegare” (Guidano V.F., 1990) sono entrambe categorie della conoscenza legate da dinamiche circolari e reciprocità, si realizza pienamente nell’applicazione del sistema PSI.CO.M. Dunque, in accordo con detta posizione, il sistema educativo PSI.CO.M. tiene conto sia degli aspetti digitali del funzionamento del cervello che delle istanze che attengono alla dimensione analogica e tacita della conoscenza.
In esso le componenti della conoscenza si fondono in modo funzionale e armonico confluendo in un approccio didattico che permette al bambino di fare contestualmente l’esperienza del proprio corpo, acquisendo cognizione di esso.
Evoluzione e sviluppo motorio
La storia evolutiva dell’uomo ci racconta che il movimento ha avuto un ruolo fondamentale nel divenire & sapiens.
Grazie al movimento i nostri antenati hanno potuto esplorare il mondo che li circondava e il confronto coi limiti che la motricità imponeva loro nei diversi stadi evolutivi, ha generato i presupposti motivazionali per l’ampliamento delle possibilità di movimento. Per raggiungere porzioni inaccessibili dello spazio circostante, così come per spostarsi da un luogo ad un altro lontano, l’uomo si è trovato di fronte alla necessità di colmare distanze e quindi a quella di concepire modi di muoversi che superassero i limiti della sua motricità.
Utilizzare strumenti per raggiungere del cibo (come ad es. dei frutti al di fuori della sua portata), così come viaggiare sul dorso di animali per trasferirsi in terre più fertili, sono esempi assai diversi di come l’uomo abbia saputo ampliare il suo raggio d’azione; ogni volta che si è cimentato in una nuova esperienza che richiedeva un comportamento motorio inusitato, egli ha dovuto misurarsi con adattamenti posturali e motorii che hanno generato afferenze neuromuscolari (ma non solo) sino a quel momento inedite, producendo così un graduale ampliamento del repertorio motorio e progressive modificazioni della corteccia cerebrale.
Se dunque lo studio della filogenesi del movimento può darci informazioni sulla storia dell’uomo moderno, lo studio dello sviluppo motorio del singolo individuo può orientarci nella elaborazione delle metodologie educative.
Le teorie sullo sviluppo motorio che si sono succedute nel corso del ‘900, sono molte. Tra le principali, possiamo annoverare:
Il modello Neuromaturazionista o Maturativo, sviluppato da A.L. Gesell dalla metà degli anni ‘20, guardava allo sviluppo motorio come ad un processo geneticamente determinato.
Il modello di Piaget, nato negli anni ’50, che riteneva che le attività senso-motorie del bambino condizionassero il suo sviluppo mentale.
Il modello Filogenetico, secondo il quale lo sviluppo motorio dell’individuo ripercorrerebbe le tappe della filogenesi.
I modelli Sistemici, in voga dagli anni ’60, secondo cui lo sviluppo motorio sarebbe il prodotto di dinamiche fra sistemi funzionali (anche esterni all’individuo) diversi.
I modelli della Elaborazione dell’informazione, sviluppatisi dagli anni ’70 a seguito della affermazione della cibernetica. Secondo questi modelli, lo sviluppo motorio è legato alla capacità di concepire e attuare progressivamente “programmi motorii” di complessità crescente.
Il modello dei Sistemi dinamici, nato negli anni ’80, individua le condizioni dello sviluppo motorio in una varietà di fattori, per lo più ambientali, limitando così il ruolo dei fattori genetici.
Una teoria molto interessante sullo sviluppo motorio è compresa nella Teoria della selezione dei gruppi neuronali (nota come darwinismo neurale) [Edelman, 1987]; in essa il modello dei sistemi dinamici viene conciliato in modo molto convincente con quello della maturazione del sistema nervoso.
Le tre motricità
Ma cos’è la motricità? La definizione della fisiologia, secondo la quale la motricità è la capacità di compiere e controllare i movimenti coordinandoli tra loro, fornisce una risposta solo parziale alla domanda; per questo pensiamo sia utile introdurre una visione più ampia.
Nell’approccio ai sistemi educativi che comprendono il movimento, infatti, riteniamo importante operare una distinzione fra tre tipi di motricità: la motricità della specie, la motricità genetica, la motricità ambientale.
La Motricità della specie:
È l’insieme delle disposizioni motorie innate che contraddistinguono ogni singola specie animale. Ogni individuo condivide con i suoi conspecifici le caratteristiche morfologiche e funzionali dell’apparato loco- motore e quindi un potenziale motorio tipico. La motricità della specie muta lentamente, pertanto non è suscettibile di modificazioni ad opera di sistemi educativi.
La Motricità genetica:
È quella che il genotipo ha ereditato dai suoi genitori. L’eredità genetica determina sia caratteristiche fisiche (antropometriche, muscolari, etc.) che propensioni funzionali, che differenziano ogni individuo da qualsiasi altro della stessa specie. Essendo geneticamente determinata, neanche questo tipo di motricità subisce modificazioni, da parte di sistemi educativi.
La Motricità ambientale:
È il frutto delle esperienze di interazione del singolo individuo con l’ambiente. In senso lato possiamo dire che è l’espressione motoria del fenotipo.
Oggi conosciamo i principi evolutivi e sappiamo che è la motricità ambientale, sebbene in tempi per l’appunto evoluzionistici, che comporta modificazioni sia della motricità genetica che di quella della specie.
La motricità ambientale è dunque l’ambito in cui i sistemi educativi producono i loro effetti, quindi quello di nostro interesse.
Riepilogando:
– Siamo tutti egualmente vincolati alla motricità della specie;
– Ciascuno eredita dai propri genitori caratteristiche e attitudini motorie (ma non solo) che lo rendono unico;
– I sistemi educativi hanno la funzione di sviluppare le potenzialità individuali.
Approcci educativi e movimento
Sebbene alcuni approcci educativi debbano oggi considerarsi obsoleti, possiamo sintetizzare dicendo che negli ultimi cento anni il rapporto tra la pratica motoria e lo sviluppo dell’individuo, è stato concepito e interpretato in almeno tre modi diversi:
– Educazione del movimento
Presupposto: Conoscenze tecniche
Strumento: Esercizio
Fine: Apprendimento motorio.
– Educazione al movimento
Presupposto: Filosofia wellness
Strumento: Pratica di attività motorie
Fine: Efficienza psicofisica.
– Educazione attraverso il movimento
Presupposto: Concezione processuale dello sviluppo
Strumento: Movimento
Fine: Sviluppo delle potenzialità individuali.
È in questo ultimo approccio che si inserisce il Sistema Educativo PSI.CO.M.
Occorre sottolineare che le “potenzialità individuali” non sono solo quelle motorie, ma l’intero patrimonio di doti e attitudini latenti del bambino, che un sistema educativo efficiente ha l’obiettivo di far maturare ed evolvere, in accordo con le scienze auxologiche e la psicologia dello sviluppo.
Sino a gran parte del ‘900, la visione di una pedagogia del movimento disgiunta dallo sviluppo cognitivo ha concorso all’affermazione, persino in seno alle istituzioni scolastiche, di pratiche metodologiche centrate su una concezione disintegrata del processo di sviluppo dell’individuo. Essendo lo sviluppo motorio svincolato da quello cognitivo, doveva dotarsi di principi e metodologie autonome. Forse è anche per questo che, per ottenere un bagaglio motorio ricco, si è a lungo guardato alla variabilità dell’esercizio come strumento preminente.
La visione processuale e complessa dello sviluppo, che ci ha condotto alla stesura di questo volume, ci fa convergere sull’idea che una crescita armonica e funzionale deve puntare su sistemi educativi che sappiano cogliere le relazioni tra movimento e cognizione nel corso dello sviluppo dell’individuo.
Poiché gli unici movimenti che non hanno un interessamento encefalico sono i riflessi spinali, l’idea che la variabilità dell’esercizio possa garantire un ampliamento del repertorio motorio, laddove le implicazioni corticali e quelle tronco-encefaliche sono state neglette, ci sembra riduttivo e, per certi versi, ingenuo.
Le necessità di sopravvivenza e di adattamento all’ambiente che l’uomo ha dovuto fronteggiare nel corso della sua evoluzione, lo hanno indotto a modificare di continuo il suo comportamento e le sue abitudini; le neuroscienze hanno documentato che ogni esperienza tende a lasciare traccia nel tessuto nervoso di chi la sperimenta, per questo i lenti e continui adattamenti evolutivi hanno prodotto nel cervello dell’uomo (e in quello di alcuni primati superiori) la comparsa di zone specializzate nella integrazione di dati di natura assai diversa.
Si tratta delle aree associative polimodali, parti della corteccia cerebrale in cui per l’appunto si integrano e si elaborano informazioni di varia origine. Le principali aree associative polimodali sono:
• L’area associativa limbica, che è implicata nei comportamenti legati alla sopravvivenza della specie, nelle emozioni (e nei loro correlati neurovegetativi) e nei processi mnestici (memoria esplicita).
• L’area associativa posteriore (occipito-temporo-parietale), che è implicata nei processi attentivi, nella organizzazione di movimenti complessi, nell’orientamento spaziale, nella integrazione di informazioni provenienti da differenti modalità sensoriali, nel linguaggio, etc.
• L’area associativa anteriore (corteccia prefrontale), che è implicata nella memoria di lavoro e nelle funzioni esecutive.
Poiché lo sviluppo del movimento e quello della cognizione sono quindi legati da dinamiche circolari e di reciprocità, sistemi educativi che vogliano dirsi completi devono riflettere la relazione fa i due domini. Noi consideriamo la motricità come mediatore dell’apprendimento e come catalizzatore dello sviluppo cognitivo; per questa ragione preferiamo parlare di sistema educativo psico-cognitivo-motorio a variabilità dell’input cognitivo.
Ma quante abilità diverse chiamiamo intelligenza? Sebbene l’intelligenza sia probabilmente da sempre la più studiata tra le funzioni psichiche, è nell’ultimo mezzo secolo, grazie agli sforzi profusi dalla comunità scientifica, che si sono prodotte molte tra le ricerche più interessanti sull’argomento.
Genericamente con il termine intelligenza indichiamo la facoltà di elaborare informazioni in maniera acuta, adattiva, pronta.
Nella realtà esso designa un insieme molto variegato di abilità assai differenti tra loro. Già nel 1938 Louis Leon Thurstone parlava di 7 “abilità primarie”. Alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, l’americano Joy Paul Guilford, elaborava un modello che distingueva operazioni, prodotti e contenuti espressi dall’intelletto.
Pur con le loro differenze, molti dei modelli e delle diverse teorie sull’intelligenza che si sono sviluppate negli ultimi cento anni, hanno in comune la visione sistemica e multicomponente della funzione intellettiva.
All’inizio degli anni ’80 del novecento, lo psicologo statunitense Howard Gardner elabora il modello delle Intelligenze Multiple, distinguendo 8 tipologie di intelligenza:.
LE INTELLIGENZE MULTIPLE SECONDO GARDNER | ||
INTELLIGENZE | OPERAZIONI CENTRALI | |
Intelligenza linguistica | Sintassi, fonologia, semantica, pragmatica | |
Intelligenza musicale | Tono, ritmo, timbro | |
Intelligenza logico-matematica | Numero, categorizzazione, relazioni | |
Intelligenza spaziale | Accurata visualizzazione mentale, trasformazione mentale delle immagini | |
Intelligenza corporeo-cinestetica | Controllo del proprio corpo, controllo nella presa degli oggetti | |
Intelligenza interpersonale | Consapevolezza dei sentimenti, delle emozioni, degli obiettivi e delle motivazioni delle altre persone | |
Intelligenza intrapersonale | Consapevolezza dei propri sentimenti, emozioni, obiettivi e motivazioni | |
Intelligenza naturalistica | Ricognizione e classificazione degli oggetti nell’ambiente | |
Questo modello esprime efficacemente la natura composita dell’intelletto e ci consente di anticipare come il Sistema Educativo PSI.CO.M. intervenga su diverse delle intelligenze descritte da Gardner.
Perché ciascuna delle intelligenze possa emergere, però, non è sufficiente che i distretti e i circuiti nervosi implicati nella sua espressione siano integri, ma è opportuno che vengano pianificate attività idonee alla promozione delle stesse.
Un sistema educativo deve promuovere sia la dimensione esperienziale che quella esplicativa con interventi coerenti con i diversi moduli dell’intelletto.
Se nel corso della prima infanzia, il cervello è protagonista di un accrescimento volumetrico superiore a quello di qualsiasi altro organo, è con l’inizio della seconda infanzia e in concomitanza con l’avvio alla scolarizzazione che i mutamenti anatomo-funzionali subiscono una accelerazione impressionante, sino alla completa maturazione delle Funzioni Esecutive (nel corso dell’adolescenza e oltre).
Il ruolo che i sistemi educativi giocano in questa fase, è importantissimo. Le Funzioni Esecutive (FE) sono costituite da un insieme articolato di abilità.
Le FE possono essere definite come l’insieme dei processi corticali di ordine superiore, deputati alla anticipazione, alla pianificazione, al coordinamento, alla inibizione, al controllo e alla regolazione del comportamento finalizzato al raggiungimento di un obiettivo.
Le FE entrano in gioco:
• nei processi di apprendimento;
• nel controllo e nel monitoraggio del proprio comportamento;
• nelle azioni che richiedono pianificazione e presa di decisione;
• nella correzione degli errori;
• nella esecuzione di azioni nuove e comportamenti inediti;
• nelle azioni difficili e in quelle pericolose;
• nella inibizione di risposte automatizzate o abituali.
I processi mnestici hanno svolto un ruolo fondamentale nella evoluzione della nostra specie. La loro efficienza consente di far evolvere e conservare il senso di identità dell’individuo; essi sono alla base dello sviluppo cognitivo.
Col termine memoria indichiamo le capacità di un sistema di conservare informazioni per il loro utilizzo differito. Nei sistemi biologici detta capacità è complessa; nel caso della specie umana poi, essa è specialistica, articolata in sub-processi e organizzata gerarchicamente.
L’intervallo di tempo che separa il processo di conservazione delle informazioni dal loro utilizzo, qualifica la tipologia dei processi mnestici sottesi. Per conservare qualsiasi informazione è necessario generare delle rappresentazioni interne del dato da memorizzare (esperienza mnemonica). Ciò avviene attraverso quattro sub-processi:
• Codifica
La qualità della codifica è subordinata alla motivazione e alle prestazioni dei sistemi di attenzione. [Regioni temporali specifiche, lobo temporale mediale](*).
• Registrazione
Comporta il consolidamento delle tracce che vengono impresse stabilmente. [Lobo temporale](*)
• Conservazione
La stabilità dei ricordi è subordinata all’accuratezza dei processi di conservazione. [Regioni temporali specifiche, lobo temporale mediale] (*)
• Recupero
È la ricerca e il riassemblaggio degli elementi che costituiscono il ricordo. I diversi elementi possono essere custoditi in aree diverse della neocorteccia. [Lobo temporale mediale, corteccia frontale, corteccia parietale] (*)
(*) [Le aree corticali sopra indicate fra parentesi si riferiscono ai processi di memorizzazione a lungo termine].
La distinzione tra Memoria a Breve Termine (MBT) e Memoria a lungo Termine (MLT), divenuta popolare soprattutto con Hebb [1949], si è successivamente affermata col modello Modale di Atkinson e Shiffrin [1968], che hanno ipotizzato l’esistenza di un sistema di “magazzini” mnemonici nei quali le informazioni verrebbero conservate per intervalli di tempo per l’appunto brevi (memoria tampone) o lunghi.
Con riformulazioni successive di quel modello, ad opera di altri studiosi, il concetto di MBT si trasforma mutando parte del suo significato originario e il processo in oggetto viene qualificato con riferimento al suo connotato funzionale; perciò si preferisce parlare di Memoria Operativa o Memoria di Lavoro o Working Memory (WM), includendo così l’ipotesi condivisa da Baddeley e Hitch nel 1974, e cioè che essa funga da memoria per l’espletamento del compito contingente.
La WM è una delle funzioni esecutive che compaiono più precocemente (intorno all’8° mese di età) nel corso di uno sviluppo tipico (Sennet al., 2004), a testimonianza del ruolo basilare che la WM ricopre nella cognizione. Anche per questa ragione, nella strutturazione delle attività del Sistema Educativo PSI.CO.M. le è stato assegnato un ruolo di primo piano. La WM è implicata praticamente in qualsiasi forma di apprendimento scolastico e non; si pensi alla comprensione verbale, alla lettura, alle operazioni aritmetiche (in special modo a quelle “a mente”).
La WM svolge due distinte funzioni cardinali in seno ai processi mnestici:
a) Mantiene transitoriamente disponibili le informazioni;
b) Le elabora.
Ciò è possibile grazie al funzionamento integrato dei suoi tre componenti funzionali [Baddley Hitch, 1974]:
– Il Sistema esecutivo centrale
– Il Circuito fonologico articolatorio
– Il Taccuino visuo-spaziale
Il Sistema Esecutivo Centrale (o Sistema dei processi di Controllo Esecutivo) gestisce tutti i dati che provengono dai due sottosistemi, dei quali coordina e integra la attività.
Il Circuito Fonologico-Articolatorio è specializzato:
– Nel mantenere disponibili le informazioni verbali e quelle acustiche, all’interno di un magazzino temporaneo delle parole e dei suoni;
– Nel ripetere le parole in un loop;
– Nel convertire le informazioni visive in parole.
Il Taccuino Visuo-Spaziale è adibito:
– Alla conservazione delle informazioni visuali;
– Alla loro elaborazione.
– Alcuni indizi sperimentali suggeriscono che possa svolgere un ruolo nella manipolazione delle immagini mentali.
In pratica, quando ci troviamo di fronte qualcosa che dobbiamo acquisire, tendiamo a farcene una copia visiva ed una acustica nella corteccia.
Se l’informazione è visiva, tentiamo di immortalarne una copia nel Taccuino Visuo-spaziale e di nominarla ripetitivamente (a mente o ad alta voce) reclutando i moduli del Circuito fonologico-articolatorio per immagazzinare le tracce del suono e lo schema verbale.
Se invece l’informazione da acquisire fosse direttamente verbale, ingaggeremmo il Sottosistema Verbale come nell’esempio precedente e tenderemmo a rappresentarci una immagine che ci consenta di archiviare quel dato, anche in un’altra area della corteccia. La possibilità di agganciare i dati da memorizzare, a costrutti già noti (associazione) ne faciliterebbe la conservazione. Naturalmente questi processi sono automatici. Una delle differenze tra la WM e la MLT è da rintracciarsi nella differente natura dei processi neurobiologici che le caratterizzano. La WM è caratterizzata dalla attivazione di processi nervosi propriamente detti: è una memoria “elettrica” ed è indissolubilmente connessa all’efficienza delle funzioni attentive; questo dato ci ha guidato sul piano della proposta metodologica nella strutturazione delle attività.
La MLT invece è il prodotto di modificazioni plastiche, strutturali della corteccia cerebrale (non a caso la parte più evoluta del sistema nervoso umano), che dipendono da una serie di fattori (tra il quali proprio l’efficienza della WM).
Dunque la plasticità cerebrale, cioè l’abilità del cervello di modificarsi strutturalmente, risente delle esperienze; quindi, se in genere ambienti stimolanti influiscono positivamente sulla crescita del bambino, contesti e sistemi educativi concepiti specificamente per promuoverne lo sviluppo condurranno a una maturazione cerebrale fruttuosa e a una ottimizzazione del potenziale cognitivo del bambino.
SISTEMA EDUCATIVO PSICOM |
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METODOLOGIE | TOPICHE EDUCATIVE PREVALENTI | |
Gruppo Didattico S.E.L.L. | Educazione alla osservazione del movimento e alla esecuzione di compiti motori con variabilità dell’input cognitivo (associazione multimodale). Lateralizzazione equifunzionale, promozione della socializzazione e di dinami- che cooperative, educazione alle regole, rispetto dei ruoli. | |
Il Semaforo | Apprendimento delle prime nozioni di anatomo-topografia, conoscenza del proprio corpo, imitazione di posture e di movimenti | |
Memory Sequential Motions MSM | Sviluppo della Working Memory ed esercizio dei processi attentivi richiesti per il suo impiego. | |
Visualizzazione – Occhio della Mente | Recupero e incremento della memoria eidetica, esercizio della Working Memory visuo-spaziale, sviluppo delle capacità di imagery | |
Bodies Mimicking Shapes BMS | Interpretazione e rappresentazione di figure attraverso il corpo. | |
Traslazione di Posture e Movimenti TPM | Imagery, consolidamento/affinamento della rappresentazione mentale di posture e movimenti, affinamento delle sensibilità propriocettiva, cinestetica, vestibolare | |
Metodo Espressivo Analogico | Uso di analogie e metafore per la rappresentazione simbolica di posture e movimenti e per il consolidamento degli aspetti statici e dina- mici degli stessi | |
Metodo Posturale Dinamico | Sviluppo dei sistemi mnestici (memoria di movimenti) e associativi, miglioramento di schemi motori di base | |
PICTURES BOOK Strumento didattico indispensabile per l’applicazione del Sistema Educativo PSI.CO.M. |
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